Luigi Barzini – URSS. L’impero del lavoro forzato > Prefazione
* * *
Della Russia sovietica, per solito, si dice molto male
o troppo bene. Chi la vede detestabile e chi la vede ammirevole. È
raro trovare giudizi che non siano assoluti. Il fatto è che
l’Unione Sovietica presenta gli aspetti più contraddittori e si rivela volta a volta feroce ed umana,
paradossale e ragionevole, barbara e progressiva, assurda e
logica. Ognuna delle sue facce
multiformi ha quanto basta per suscitare orrore o simpatia.
La proporzione fra il male ed il bene non
può essere percepita con una certa chiarezza se non si tiene
conto delle speciali condizioni di questo immenso Paese la cui
unità politica fu fatta dai mongoli, della natura di questo
popolo che nella sua grande maggioranza è rimasto per istinto
nomade come agli inizi della sua storia, e dalla formazione di
questa strana civiltà slava, recente e patriarcale, nella quale
due sole grandi influenze hanno lasciato una traccia profonda:
quella di Tamerlano e quella di Pietro il Grande.
Dopo aver rovesciato sulla Russia tutte le devastazioni, tutte
le catastrofi, tutte le miserie, la Rivoluzione sovietica è
entrata un in impetuoso e convulso periodo di ricostruzione
moderna, il quale assume una linea di
grandiosità imponente ma si fonda, come una guerra, su sacrifici
indicibili del popolo.
Ad onta dei suoi errori, dei suoi sperperi, delle sue follie e
delle sue atrocità, lo sforzo immenso e disperato dell’Unione
Sovietica per raggiungere immediatamente primati industriali e
scientifici non può essere osservato senza stupore, se non altro
per la sua stessa smisurata vastità. Ma non si avrebbe una
chiara idea di tale esorbitante fatica se ci si fermasse a
contemplare le gigantesche realizzazioni russe senza
considerarne il costo, l’efficienza e le ragioni.
Il bolscevismo non distingue dal suo ardente desiderio di
progresso una decisa volontà di presentare al mondo il panorama,
non importa se illusorio purché impressionante, d’una
superiorità di creazione e di potenza sugli altri regimi della
Terra. Affida alle proporzioni gigantesche delle sue opere il
compito di dimostrare agli altri Paesi le gigantesche capacità
del comunismo. A spese del benessere del popolo esso tende a
costruirsi un prestigio dominatore, verso il quale si orienti
con rinnovato vigore il sovversivismo internazionale.
Perciò, in tutto quello che fa, il
bolscevismo considera la grandezza come essenziale. Vuol potere
annunziare sempre il massimo. Ai tecnici stranieri che assolda
esso chiede di fare enorme e di fare presto. Reclama dei
“record”. La Russia sovietica non ha mai lavorato a divenire il
centro di una rivoluzione universale
come da quando sembra esclusivamente intenta ad attività
interiori.
Le “piatiletke”,
realizzate a prezzo di fame e con il lavoro forzato di un
popolo, sarebbero inesplicabili senza questo loro valore di
offensiva propagandistica sul fronte internazionale e di
preparazione bellica.
Ma questa tumultuosa applicazione di
modernità alla vita russa crea trasformazioni profonde di
pensiero e di indole, provoca vaste diffusioni di cultura nelle
masse, e sarebbe ingiusto non dar credito al bolscevismo di
progressi mentali del popolo da cui potrà sorgere, forse, col
tempo e con la pace, una Russia migliore.
* * *